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Con un semplice test di laboratorio, si può rilevare l’incompatibilità sanguigna tra madre e feto. Nel caso di esito positivo, spetterà ai medici valutare l’opportunità di instaurare una profilassi. Questa serve per evitare patologie a carico del nascituro, nello specifico la malattia emolitica del feto o del neonato. Ecco quindi che cosa occorre sapere sul test di Coombs ed ecco che cosa fare in caso questi risulti positivo.
Il test di Coombs è un test, eseguito in laboratorio, teso a valutare la presenza di anticorpi fissati alla superficie dei globuli rossi. Nel caso di questa procedura, il test di Coombs si definisce diretto. Il test indiretto è volto a ricercare la presenza di anticorpi liberi nel siero. Quest’ultimo viene eseguito quando si debba verificare uno scambio di sangue tra due pazienti: trasfusione o, appunto, gravidanza.
Nel caso di gravidanza, può essere eseguito anche il Coombs diretto. Lo si fa nei casi in cui si sospetti che gli anticorpi della madre abbiano potuto danneggiare gli eritrociti del feto. Il test diretto viene anche eseguito per confermare la diagnosi di anemia emolitica autoimmune. Il test di Coombs si utilizza per verificare un’eventuale incompatibilità materno-fetale. Tale incompatibilità è più grave in presenza di una differenza di fattore RH tra i gruppi sanguigni dei due futuri genitori. Quando la madre di gruppo sanguigno RH negativo concepisce un figlio RH positivo come il padre. Nel caso ci sia incompatibilità di sangue tra mamma e feto, è necessario effettuare il test di Coombs. Al fine di contrastare un’eventuale malattia emolitica del feto.
Il test è formulato a partire da un principio fondamentale, per cui i globuli rossi nel sangue non vengono mai a contatto tra loro. Grazie a delle cariche negativi presenti sulle loro membrane. In altri termini, i globuli rossi si respingono. Pertanto, per far sì che i globuli rossi agglutinino, occorre che tra i globuli si creino dei ponti capaci di vincere la forza di repulsione dovuta alle cariche negative. Tali ponti, sono gli anticorpi, nello specifico le immunoglobuline della classe IgM.
Il nome del test lo si deve a Coombs. Quest’uomo, una settantina di anni fa, mise a punto il test che permette di determinare la presenza di autoanticorpi (auto-Ab) adesi alla superficie degli eritrociti. In tali casi il test di Coombs risulta positivo. Va detto, che l’incompatibilità tra mamma e feto è molto rara nella prima gravidanza. Infatti, il sangue della madre, pur entrando in contatto con quello del feto, può determinare la sensibilizzazione dell’organismo materno senza che si verifichi nessuna risposta immunitaria. La risposta però potrà scatenarsi con la gravidanza successiva. Ecco perché tutte le donne, a partire dalla prima gravidanza, devono effettuare il test del gruppo sanguigno. In presenza di sangue materno RH negativo, allora di dovrà eseguire il Test di Coombs indiretto, in modo che si possa verificare la presenza di anticorpi anti-D.
Nel caso in cui il test di Coombs dovesse risultare positivo le future mamme saranno sottoposte alla somministrazione di immunoglobuline anti-D. Il procedimento serve per contrastare la pericolosa possibile risposta immunitaria. Queste reagiscono contro gli anticorpi anti-D prodotti dalla madre impedendone la formazione. In termini pratici, la profilassi consiste in una iniezione intramuscolare praticata sulla spalla della gestante. La profilassi anti-D di routine viene effettuata sulle donne RH negative alla prima gravidanza per evitare che maturino una sensibilizzazione. E’ poi da sottolineare più volte, che le donne RH negative che hanno già partorito un figlio RH positivo hanno determinato la sensibilizzazione dell’organismo materno. Questo avviene in seguito al contatto tra il sangue del piccolo e quello della madre. Nel caso specifico, è necessario eseguire la profilassi anti-D entro 72 ore dal parto. In queste ore che la probabilità di un contatto tra il sangue materno e quello del feto è al suo massimo.
Nel caso di esito positivo, sarà lo stesso ginecologo a prendere in mano la situazione e a valutare l’opportunità di instaurare la profilassi. Questa è necessaria per scongiurare la possibilità di malattia emolitica del feto o del neonato. Non c’è dunque nulla da temere, la situazione va solo gestita.