Ritorno a casa con il neonato: cosa bisogna sapere sui primi giorni da soli e le risposte ai dubbi dei neo genitori.
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Dopo i nove mesi d’attesa, le straordinarie emozioni del parto, i primi giorni in ospedale, è arrivato finalmente il momento di tornare a casa. Anche se questo è un momento di grande emozione, molti neo genitori sono assaliti dai dubbi e dalle paure. Ritorno a casa con il neonato, cosa occorre sapere? Scopriamolo insieme.
I genitori, soprattutto se alla prima esperienza, possono sentirsi spaesati al rientro a casa dopo il parto. Quando il bambino nasce in ospedale in genere il ritorno a casa avviene in auto. Anche se si tratta di un viaggio breve, bisogna organizzarsi in modo confortevole e sicuro. Il dispositivo adatto e conforme per i viaggi del neonato è l’ovetto, che va posizionato in direzione opposta al senso di marcia e possibilmente sul sedile posteriore, dietro il guidatore.
Per il rientro a casa è importante organizzare uno spazio adeguato per prendersi cura di lui in sicurezza. Per esempio, si può attrezzare la superficie di una cassettiera con un materassino imbottito idrorepellente o con qualche asciugamano ripiegato, oppure appoggiare il bambino sul lettone di mamma e papà.
Dove metterlo a dormire è la domanda delle domande e spesso su questo punto i genitori sono molto confusi perché ricevono informazioni discordanti da fonti differenti. Ogni famiglia ha ovviamente pieno diritto di decidere come organizzarsi rispetto alla nanna dei neonati, ma è importante sapere che il bisogno di contatto e vicinanza dei neonati è assolutamente normale e fisiologico e che dormire nella stessa stanza è raccomandato per il primo anno di vita del bambino, come misura di prevenzione anti-SIDS.
Nei primi giorni a casa probabilmente il bambino avrà ancora il suo moncone di cordone ombelicale. La tendenza attuale è di toccarlo il meno possibile, quindi niente medicazione e neppure niente garzine. Lo si lascia scoperto perché si è capito che così cade prima. L’unica indicazione è quella di risvoltare il bordo del pannolino verso il basso in modo che non possa dare fastidio.
Allattare al seno è una delle cose più naturali, ma non è di certo una delle più facili. Ci sono delle difficoltà che possono far scoraggiare le mamme tanto da decidere di smettere di allattare. Al fine di non arrendersi, è opportuno conoscere le varie difficoltà che si possono incontrare quando si comincia ad allattare. Inoltre, una rete di sostegno composta da mamme con buona esperienza ed esperti come ostetriche e consulenti per l’allattamento possono essere un aiuto prezioso per la donna in difficoltà.
Innanzitutto, c’è da dire che l’allattamento dipende da come è andata la nascita, dalle competenze del bambino, da come sta la mamma in quel momento e dall’assistenza e dal sostegno che può avere da familiari e amici.
Dopo qualche giorno dal momento del parto, la mamma comincia a produrre latte per il neonato. Questo fenomeno si chiama montata lattea e avviene tra i due e i cinque giorni dopo la nascita del bambino. La montata lattea è il momento in cui il colostro (un liquido denso e molto nutriente prodotto dal seno durante la gravidanza e subito dopo il parto) si trasforma in latte di transizione (una miscela di colostro e latte maturo).
Nel corso della montata lattea, cambia anche la quantità prodotta dal seno che passa abbastanza rapidamente dalle poche decine di millilitri del colostro a diverse centinaia di millilitri.
Fin dalla nascita, il primo modo con cui un bambino comunica con chi lo accudisce è il pianto. Attraverso il pianto il neonato esprime bisogni specifici: fame, sete, vuole essere cambiato, vuole il contatto con la mamma, e così via. I genitori, soprattutto coloro che sono alla prima esperienza, a volte fanno fatica a capire di cosa ha bisogno il piccolo.
Il pianto del neonato può essere isterico, inconsolabile, improvviso, continuo, ma rimane comunque il mezzo attraverso il quale comunica il suo umore e i suoi bisogni. Questo perché fin dalla nascita il bambino è in grado di capire che solo in questo modo può comunicare con i genitori e attirare la loro attenzione. I genitori, soprattutto coloro che sono alle prime armi, fanno fatica a capire i bisogni del bebè. Ciò è dato dal fatto che non vi è solo un tipo di pianto, ognuno diverso dall’altro, e l’importante è non perdersi d’animo soprattutto durante le primissime settimane. Quello che i piccoli vogliono comunicare non è solo la fame o il freddo, ma anche la mancanza di soddisfazione di un bisogno primario o l’espressione di un’emozione.