Il valore cultura, proprio per le sue peculiarità di bene non essenziale, importante solo quando fossero state gratificate le necessità primarie della vita, ha in pratica avuto un ruolo secondario, un lusso riservato alle classi dominanti. L’intellettuale, il filosofo, l’artista, il letterato ha per conseguenza quasi sempre avuto una funzione di supporto al potere sia perché coincideva con il potere, sia perché da questo dipendeva per il proprio benessere e la sopravvivenza fisica.
Le cose sono mutate solo in tempi recenti, dopo la fine della Prima e, ancor più, dopo la Seconda Guerra Mondiale. Quelle enormi ed insensate carneficine modificarono profondamente l’atteggiamento di condiscendenza generale nei confronti della gerarchia dei valori, come si era andata determinando nei secoli passati e la cultura cominciò ad essere il lasciapassare più adatto per la creazione di un mondo migliore, più attento alle esigenze “dell’altro” non più sottoposto, ma capace di contribuire alla propagazione e alla creazione di una rinnovata cultura. Si è avuta cioè un’apertura al sapere di classi sociali che fino a quel momento ne erano state escluse. Si è potuta diffondere la convinzione, direi la consapevolezza che la cultura fosse il miglior mezzo per raggiungere una promozione sociale e salire qualche gradino nella scala sociale. In effetti non possiamo dire che ci sia stato in passato un periodo di così grande divulgazione e diffusione della cultura come quello in cui viviamo da qualche generazione.
Pubblicato il 02/07/2014 alle 17:51 | Aggiornato il 02/08/2014 alle 17:58
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