Partorire al tempo del Covid: come funziona e quali sono le istruzioni da seguire quando si arriva in ospedale.
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La pandemia da Covid-19, fra le altre problematiche cliniche e di salute pubblica, pone anche quelle sull’organizzazione della rete natale, la gestione dell’infezione in gravidanza, la possibile trasmissione materno-fetale dell’infezione prima, durante e dopo il parto, la sicurezza della gestione post parto e l’allattamento nei primi mesi. Partorire al tempo del Covid, come funziona? Le regole e le linee guida negli ospedali e nelle sale parto.
In questo periodo di emergenza legata al Covid-19, molti futuri genitori si chiedono come sia cambiato il percorso nascita all’interno dell’ospedale. Tutti i bambini che hanno scelto di venire al mondo dallo scorso marzo a oggi sono nati in un clima meno accogliente rispetto a quello che genitori, nonni, zie e anche ostetriche e ginecologi, avrebbero voluto per loro. Partorire al tempo del Covid vuol dire fare i conti con una serie di limitazioni e attenzioni che possono mettere a dura prova le future madri e i futuri padri. Partorire durante una pandemia per molte donne ha voluto dire partorire in solitudine, affiancate soltanto dai medici e dalle ostetriche. Con il passare dei mesi, però, i percorsi di nascita sono cambiati e ospedali e sale parto si sono adeguati alle linee guida dell’Istituto Superiore di Sanità: scopriamole insieme.
La presenza del padre o di una persona a scelta della donna è un aspetto organizzativo che compete alle singole strutture sanitarie. Attualmente vi è molta variabilità tra presidi sanitari anche all’interno delle stesse Regioni, nonostante le evidenze sugli effetti positivi legati alla presenza di una persona di fiducia durante il parto siano oramai consolidate.
Al momento dell’accesso alla maternità, alla donna dovrebbe essere chiesto se lei o la persona che l’accompagna abbiano avuto sintomi suggestivi di Covid-19 nei sette giorni precedenti. Nel caso in cui questa persona abbia presentato sintomi, non le sarà possibile accedere e alla donna dovrebbe essere suggerito di scegliere qualcun altro come supporto. Questa verifica è essenziale per la protezione dal rischio di infezione del personale sanitario, delle altre donne e dei neonati. Una volta accolto, l’accompagnatore deve ricevere istruzioni chiare e non può spostarsi all’interno del reparto.
In molti ospedali, all’arrivo, ogni donna e il suo accompagnatore sono sottoposti a due test. Il primo è quello antigenico, che dà il risultato in 15 minuti, poi il molecolare per il quale ci vogliono 3 o 4 ore di tempo. Il partner, se risulta negativo al test antigenico, può raggiungere la propria compagna quando è in fase di travaglio avanzato. Può accompagnarla in sala parto, indossando tutti i dispositivi di protezione necessari, assistere alla nascita e restare per le due ore successive. Per quanto riguarda le visite post parto, poi, ogni ospedale fa da sé, perché alcune strutture le permettono mentre altre le negano.
Se si è contratto il virus, ma la situazione non è grave e i sintomi sono lievi, si applicheranno le misure di isolamento. Si potrà partorire per via vaginale e allattare il proprio bambino a meno che non ci siano altre controindicazioni. Si dovranno seguire con attenzione le indicazioni dei professionisti per ridurre il rischio di diffusione del contagio.
Se invece le condizioni della madre dovessero essere gravi, l’assistenza al parto dovrà tenere conto delle esigenze cliniche e della necessità di eventuale supporto respiratorio. Anche se positiva al momento del parto o successivamente durante l’allattamento non c’è controindicazione ad allattare, dal momento che non c’è nessuna prova che il virus possa trasmettersi attraverso il latte materno. È però importante che, in caso di infezione materna, la madre si lavi bene le mani prima e dopo la poppata. Inoltre, è fondamentale indossare una mascherina durante la poppata.