Il parto indotto talvolta viene consigliato dai ginecologi. Tuttavia, esso comporta alcuni potenziali pericoli.
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Il parto indotto consiste nella stimolazione del travaglio. Essa viene effettuata solo in determinate circostanze, e a questa fase indotta seguirà quella del parto naturale o, quando dovesse rendersi necessario, del parto cesareo. Nella maggior parte dei casi, le tecniche del parto indotto vengono impiegate in caso di gravidanza oltre il termine, quando si preferisce non ricorrere al cesareo.
Tuttavia, i motivi alla base di questa decisione potrebbero anche essere altri. In particolare, il parto indotto viene programmato prima della data limite per il parto naturale qualora la donna incinta soffra di patologie come diabete o gestosi. In questi casi, infatti, per motivi di sicurezza della puerpera, il feto non deve raggiungere dimensioni eccessive. Inoltre, si opta per questa tecnica quando si riscontra un cattivo funzionamento della placenta, che impedisce al nascituro di crescere, oppure quando la quantità di liquido amniotico si rivela insufficiente. Infine, le tecniche del parto indotto vengono applicate nel caso in cui il travaglio inizi senza contrazioni.
Le conseguenze possono essere diverse e alcune di esse dipendono del metodo impiegato. Ricordiamo infatti che le possibili tecniche del parto indotto sono quattro e che possono avere natura manuale, artificiale o farmacologica. Innanzitutto, questa decisione aumenta il potenziale rischio di contrarre infezioni, sia da parte della donna che da parte del bambino. Inoltre, nel caso in cui il parto fosse indotto a causa delle patologie materne sopra indicate, si incorrerebbe nel pericolo di nascita prematura. Per questo è necessario che sia un ginecologo a valutare attentamente la situazione e che, in ogni caso, il travaglio non venga indotto prima della trentanovesima settimana di gravidanza.
Un altro pericolo che sussiste sempre quando vengono impiegati questi metodi è quello di emorragie. Infatti, in seguito al parto, la madre potrebbe soffrirne, a causa dell’assenza di contrazioni spontanee delle pareti uterine. Il pericolo di emorragia si presenta anche prima nel parto, durante la stimolazione, con il metodo del distacco manuale delle membrane dalla cervice. Se il metodo prescelto è invece quello farmacologico, sappiate che anche in questo caso non siete esenti da rischi. Alcuni medicinali, come prostaglandine e ossitocina, possono provocare nel neonato anomalie cardiache, e in particolare una riduzione della frequenza cardiaca.
Infine, esiste la diffusa convinzione che il parto indotto si sostituisca a quello cesareo. Questo è vero solo in parte, e soprattutto nel caso in cui la motivazione alla base della scelta sia la gravidanza oltre il termine. Occorre però precisare che non tutti i travagli indotti si concludono con un parto vaginale. Infatti, non sempre l’induzione provoca un travaglio rapido e decisivo; al contrario, il metodo potrebbe anche rivelarsi fallimentare. Soprattutto nei casi in cui l’induzione è dettata da complicanze che mettono a rischio la donna e il feto, se la tecnica non funziona occorre procedere tempestivamente con un intervento cesareo.
In passato, alcune ricerche hanno ipotizzato che il parto indotto potesse aumentare il rischio di autismo nei bambini. Ad oggi, la questione resta ancora controversa, ma i dati sembra propendere per un’assenza di correlazione causale tra i due fenomeni. Tale tesi sarebbe corroborata da uno studio compiuto da un team di ricercatori svedesi. Questi hanno analizzato i dati di oltre 1,3 milioni di nati in Svezia tra il 1992 e il 2015. Il risultato è stato che circa il 3,5% dei nati con travaglio indotto avrebbero sviluppato l’autismo, contro il 2,5% dei nati tramite parto naturale. Prima di affermare che i due fattori sono correlati, però, occorre prendere in analisi altre variabili.
Se, a prima vista, si potrebbe affermare che i dati precedenti si traducono in un 19% in più di possibilità di sviluppare l’autismo dopo un parto indotto, un successivo studio sembra smentire tale affermazione. Prendendo in considerazione quasi 700.000 coppie di sorelle e fratelli, infatti, si è scoperto che a intervenire sulle probabilità di autismo sono in realtà la genetica e i problemi medici. L’induzione del travaglio, quindi, non sembrerebbe influire sul rischio dei disturbi dello spettro autistico. Al contrario, si renderanno necessari ulteriori studi sulle caratteristiche delle madri che fanno propendere per il parto indotto: obesità, età avanzata, diabete, ipertensione.
Un diverso studio, anch’esso recente, sembra invece giungere alle conclusioni opposte. Esso è condotto dagli scienziati della Duke Medicine e della University of Michigan. I ricercatori hanno esaminato circa 600.000 bambini nati negli ultimi otto anni nello stato americano del North Carolina e frequentanti scuole pubbliche. Dunque, è stato rilevato che l’incidenza dell’autismo risultava dello 0,4% tra le bambine contro l’1,3% tra i bambini. Tra questi, l’incidenza risulta maggiore su coloro che sono nati da parto indotto.
Tuttavia, non occorre allarmarsi. Ulteriori approfondimenti saranno necessari e gli altri studi in questo senso suggeriscono un’assenza di correlazione. Fattori di rischio noti sono invece l’età avanzata della donna al momento del parto e la nascita prematura, ovvero prima delle 34 settimane di gestazione.