Il linguaggio gioca un ruolo essenziale per stabilire le nostre relazioni. D’altronde, l’uso di un lessico non discriminatorio è un atto di rispetto reciproco. Il dibattito sul cosiddetto linguaggio inclusivo di genere è un tema che non può – anzi, non deve – essere ignorato al giorno d’oggi. Linguaggio inclusivo di genere: alcune proposte.
Linguaggio inclusivo di genere: cos’è
Le parole sono il mezzo con cui rivestiamo i nostri pensieri e li rendiamo disponibili agli altri. È infatti attraverso il linguaggio che comunichiamo, esprimiamo concetti, sentimenti, intenzioni e, come ben sappiamo, la lingua è un qualcosa che si modifica con il tempo e con le influenze che derivano dalla società.
Per linguaggio inclusivo si intende un linguaggio che non sia discriminatorio nei confronti dei generi. In Italia se ne parla già da qualche anno, soprattutto per quanto riguarda il tema delle professioni o degli incarichi istituzionali indicati normalmente dal genere maschile. Parole come “sindaco”, “ministro”, ma anche professioni come “ingegnere”, secondo il linguaggio inclusivo devono essere espresse al femminile se è una donna a ricoprire il ruolo. Infatti oggi, rispetto a pochi anni fa, si sente spesso parlare di “sindaca”, “ministra”, “ingegnera” e via dicendo.
Se la lingua evolve, però, è perché la società in cui viviamo sta cambiando: fino a non molto tempo fa, infatti, la presenza delle donne era limitata in alcuni settori e posizioni lavorative, per cui la necessità di declinare i nomi delle professioni in maniera corretta non era così ampiamente diffusa. Oggi che invece ci sono molte più avvocate, ministre, sindache, assessore, chiamarle con il loro nome diventa un’affermazione di esistenza, oltre che un’operazione linguisticamente esatta.
Linguaggio inclusivo di genere: le proposte
La lingua italiana, a differenza del tedesco, non ha il genere neutro. Inoltre, è flessiva, diversamente dall’inglese, e ciò significa che ogni articolo, pronome, sostantivo e aggettivo viene declinato per genere. Per questo motivo, fin dalle scuole elementari, ci viene insegnato che, nel dubbio, il maschile generalizzato al plurale va sempre bene.
Soprattutto in tempi recenti, però, sempre più persone hanno iniziato a utilizzare l’asterisco egualitario, per evitare l’uso del maschile generalizzato previsto dalla norma grammaticale. Ogni volta che ciò succede, soprattutto sui social, quasi sempre qualcuno interviene per dire che ci sono battaglie più importanti e che meritano maggiore attenzione. Le origini sembrano derivare dall’impiego dell’asterisco come “carattere jolly” tipico dei sistemi informatizzati di ricerca. Si è poi diffuso per una diversa necessità, quella di evitare la ripetizione del nome nei due generi quando ci si riferisce a gruppi misti. Inoltre, l’asterisco può consentire di superare la logica binaria della visione tradizionale del genere, permettendo a chi non vuole attribuirsi né il genere maschile né il femminile di evitare questa scelta.
Nel saggio “Femminili singolari”, pubblicato nel 2019 dalla casa editrice effequ, l’autrice Vera Gheno propone l’introduzione dello schwa, simbolo dell’alfabeto fonetico internazionale e spesso corrispondente a una vocale media-centrale. Per fare un esempio, nella frase “Buonasera a tutti” rivolta a un gruppo misto di persone, si potrebbe sostituire il maschile sovraesteso espresso dalla desinenza “-i” con lo schwa e dire dunque “Buonasera a tuttə”. La pronuncia corrisponde a un suono vocalico neutro, indistinto, già presente in molti dialetti del centro e sud Italia.