Non è possibile prevenire la malattia, dal momento che viene trasmessa geneticamente, ma è importante effettuare una diagnosi precoce.
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La talassemia è una malattia genetica dovuta ad alcune anomalie nella sintesi dell’emoglobina, una proteina contenuta nei globuli rossi. L’emoglobina (indicata col simbolo Hb) è fondamentale per l’organismo perché consente il trasporto dell’ossigeno nel flusso ematico. Proprio grazie a questa proteina il sangue assume il tipico colore rosso. La malattia è particolarmente diffusa nelle aree che si affacciano sul Mediterraneo, come Africa, Spagna, Sicilia e Sardegna. Il nome talassemia, infatti, deriva dal greco e significa “anemia del mare”, ma è anche nota come “anemia mediterranea“. Le stime del Ministero parlano di circa 7mila casi e 3 milioni di portatori solo in Italia. Altri 600 pazienti nel nostro Paese presentano una compresenza di anemia mediterranea e drepanocitosi (anemia falciforme).
Secondo quanto indicato dal Ministero della Salute, “le talassemie sono malattie ereditarie dovute a specifiche anomalie genetiche. Perché nasca un soggetto con talassemia, entrambi i genitori devono essere quindi portatori di una mutazione del gene per la malattia”. Dunque non è possibile prevenire in alcun modo l’insorgere della patologia.
Sarebbe più corretto parlare di talassemie al plurale, dal momento che esistono due varianti della malattia: l’alfa e la beta-talassemia, a seconda che l’anomalia riguardi la sintesi delle catene alfa o beta della proteina. A sua volta, la beta-talassemia si distingue in tre gradi di gravità: beta-talassemia eterozigote, talassemia intermedia e beta-talassemia omozigote o morbo di Cooley.
Chi soffre di talassemia presenta una diminuzione cronica del numero dei globuli rossi (anemia emolitica cronica) e dei livelli di emoglobina. Il midollo osseo non è in grado di produrre cellule ematiche in numero sufficiente. Nel caso del morbo di Cooley, la forma più grave della malattia, i sintomi si manifestano a partire dai primissimi mesi di vita. Può causare anche “calcoli della colecisti, deformazioni somatiche, aumento del volume della milza e del fegato e sovraccarico di ferro”, come riportato dal Ministero della Salute. In altri casi, però, il quadro clinico può essere silente e l’emocromo può non risultare indicativo.
Per effettuare la diagnosi è necessario effettuare un emocromo con striscio di sangue periferico. In questo modo, sarà possibile individuare il grado di anemia, una spiccata microcitosi (ovvero globuli rossi dal volume inferiore alla norma), presenza dicellule a bersaglio (cellule sottili con emoglobina insufficiente) e eritroblastosi (presenza di cellule progenitrici dei globuli rossi).
I soggetti affetti da talassemia vengono sottoposti a diversi trattamenti, tra cui la trasfusione di globuli rossi concentrati, la chelazione del ferro e il monitoraggio strumentale del suo accumulo. In passato si ricorreva frequentemente all’asportazione della milza, operazione che oggi viene effettuata raramente. Secondo il Ministero della Salute, ad oggi il “trapianto di cellule staminali ematopoietiche da un soggetto sano al soggetto malato è una terapia definitiva che consente la guarigione, ma limitata dalla disponibilità di un donatore compatibile”. Inoltre, non è possibile assicurare la riuscita dell’intervento, che dipende dalle condizioni cliniche del soggetto.
Infine, “la terapia genetica è tutt’ora in fase sperimentale”. Consiste nell’utilizzo di “una parte di un virus che serve per trasportare all’interno delle cellule del paziente, il pezzo di materiale genetico necessario per la sintesi di catene globiniche con una struttura normale”.
Più che di prevenzione, è meglio parlare di diagnosi precoce mediante “identificazione dei portatori mediante esame di screening (elettroforesi dell’emoglobina)”, afferma il Ministero della Salute. Nel caso di gravidanze a rischio, la futura madre può ricorrere alla diagnosi prenatale (villocentesi o amniocentesi).