Il termine DSL è l’acronimo di Disturbi Specifici del Linguaggio, una condizione che compare nel corso dell’infanzia, generalmente in età prescolare, tra i due ed i sei anni. Nonostante gli allarmismi in famiglia, spesso alcune forme di disturbo nel linguaggio tendono ad avere un’evoluzione positiva in maniera spontanea, senza cioè particolari interventi dall’esterno. Nella maggior parte dei casi, infatti, si parla di alterazioni transitorie, che possono riguardare l’aspetto nervoso, quindi tutto il meccanismo che è presente a monte e che mette in moto la parola grazie all’attivazione di specifici circuiti neuronali (l’area di Broca, per fare un esempio), oppure di problematiche connesse a uno sviluppo non ultimato dell’apparato fonatorio, ossia di tutte quelle componenti della bocca che consentono di articolare parole e frasi.
Quando il disturbo diventa permanente si parla di DSL
Solo quando la situazione tende a non evolversi in maniera positiva senza intervento, si inizia a parlare di DSL nel vero senso della parola. Tuttavia la diagnosi appare estremamente difficoltosa, perchè è difficile standardizzare qualcosa di così complesso, quale il linguaggio, che si presenta come il risultato di molteplici componenti che cooperano al fine di rendere il bambino capace di esprimersi in maniera autonoma e corretta. Il processo che porta il bambino a parlare correttamente prevede dapprima una fase di apprendimento di suoni e, successivamente, una fase in cui tenta di riproporre le sillabe per poi trasformarle in parole e, quindi, in frasi. In genere una buona padronanza inizia ad essere acquisita intorno ai 30 mesi, mentre la maggior parte delle regole linguistiche dovrebbero essere appannaggio del bambino tra i 4 ed i 5 anni di età.
Tuttavia queste età sono da prendere con le pinze; non si può parlare di valori assoluti, dato che esistono molteplici parametri variabili, quali la vita sociale del bambino, lo stimolo alla conversazione dato dai genitori, la presenza di fratelli e sorelle e così via. Quindi per differenziare i parlatori tardivi (detti anche late speaker) da chi ha davvero un disturbo specifico del linguaggio, è necessario coinvolgere un team di neuropsichiatri, psicologi e logopedisti, che possano stabilire prima di tutto la presenza di un disturbo effettivo e poi discriminare la tipologia del problema.
Ad esempio, si valuta se l’eventuale disturbo è primario, quindi se rientra effettivamente nei DSL, oppure se si tratta di un problema secondario, connesso cioè ad altre condizioni patologiche.
Una volta diagnostica la presenza di un DSL, allora si passa alla sua categorizzazione in:
- Disturbi di decodificazione fonologica, in cui c’è una difficoltà nel discriminare i suoni (aspetto fondamentale soprattutto nella prima fase di apprendimento) e, quindi, nel riprodurli;
- Disturbi di codificazione e decodificazione morfologica e sintattica, in cui subentra la difficoltà a combinare le parole secondo delle regole dotate di logica;
- Disturbi dei più alti livelli di processamento, in cui il bambino è in grado di parlare in maniera corretta, ma tende ad utilizzare i contenuti in modo improprio.
I possibili approcci terapeutici
La terapia principale prevede lo sviluppo di strategie di supporto alla comunicazione che possano stimolare il bambino ad utilizzarle in maniera autonoma con il passare del tempo. Questo tipo di approccio da un lato riesce ad evitare la gravità e la frequenza del disturbo (è molto utile anche nel caso di balbuzie), d’altro lato fa sì che il bambino non percepisca il disturbo come un disagio, perchè in questa maniera finirebbe per astenersi completamente dalla parola. La terapia è estremamente personalizzata, anche perchè non vi sono delle conoscenze scientifiche che consentano di identificare anche un solo motivo comune alla base dell’insorgenza di queste problematiche. Anche la terapia cognitivo-comportamentale viene spesso consigliata in questi casi, perchè permette di regolare la componente emotiva, spesso dominante in questi bambini, così che questa non diventi un ostacolo alla comunicazione.