Argomenti trattati
Nell’immaginario comune la gravidanza e la nascita di un figlio coincidono con un’idea di felicità e di grandi soddisfazioni. Senza dubbio è un evento importante, carico di emozioni, ma anche di stress, responsabilità e cambiamenti fisici. In effetti, alcune patologie psichiatriche o disturbi psicologici insorgono a seguito del parto. Tra queste, il disturbo ossessivo compulsivo (DOC) è sorprendentemente comune e talvolta diventa invalidante, ma anche trattabile, soprattutto se affrontato in tempo e con l’approccio più adeguato.
Disturbo ossessivo compulsivo post partum
La sintomatologia del disturbo ossessivo compulsivo post partum è appunto quella tipica del DOC, in quanto vi sono pensieri intrusivi e ricorrenti che generano ansia nella neomamma e portano a mettere in atto compulsioni, ossia comportamenti che nell’immediato mitigano lo stato emotivo mal tollerato. In particolare, le ossessioni tipiche del periodo post partum riguardano prevalentemente l’aggressività, la contaminazione, la sessualità, la simmetria o la religiosità. Nel primo caso possono esservi immagini o pensieri di nuocere alla salute del bambino, come spingerlo giù dal balcone, colpirlo volontariamente con un oggetto o soffocarlo. Nel secondo caso il dubbio riguarda il timore di causare un danno attraverso la contaminazione con sostanze nocive o germi, e porta a svolgere estenuanti lavaggi di tutto ciò che possa essere contaminato. Anche i dubbi in merito a possibili comportamenti incestuosi o sessuali verso il proprio figlio portano ad un forte senso di allarme. Meno frequenti, ma comunque presenti possono essere le sensazioni che tutto debba essere in ordine o perfetto, tanto da controllare ripetutamente il bambino, sistemare i vestitini, la coperta ecc…
Come è facilmente immaginabile, tutti questi dubbi e pensieri intrusivi causano emozioni spiacevoli come senso di colpa, ansia, disagio o disgusto che portano queste donne a compiere gesti e azioni esagerate, che hanno però la funzioni di abbassare il disagio emotivo causato dal pensiero. Inoltre, vi sono conseguenze secondarie al disturbo quali una forte critica e autovalutazione negativa che possono portare a credere di non essere una buona madre, di doversi allontanare dal proprio figlio, incidendo anche sulla relazione d’attaccamento.
Perché alcune donne sviluppano tale disturbo e altre no?
Si è osservato che ogni donna è potenzialmente a rischio, ma che in realtà coloro che hanno una storia di sintomi d’ansia, che tendono a colpevolizzarsi più facilmente e a subire le responsabilità, possono avere maggiori probabilità di sviluppare questo disturbo. Infatti, solitamente, quando una donna ha uno spiccato senso di responsabilità e si trova investita di questo ruolo così importante, si sente addosso il peso insostenibile dell’eventuale colpa di poter fare qualcosa di sbagliato che danneggi il bimbo. Inizia quindi a preoccuparsi oltremodo di ciò che fa o non fa, perché teme di nuocere al piccolo, oppure non è sicura di fare la cosa più giusta per lui, o ancora, teme che gli oggetti che può toccare non siano abbastanza puliti, e così via.
Come intervenire per vivere serenamente la maternità?
La terapia d’elezione per il disturbo ossessivo compulsivo è basata sull’approccio cognitivo comportamentale, la cui efficacia è stata ampiamente studiata. Consiste in un lavoro collaborativo con la paziente che viene aiutata a comprendere quali sono i fattori dai quali deriva il disturbo, ciò che lo alimenta e lo mantiene. Vengono forniti strumenti e tecniche che permettono di uscire dal circolo vizioso tipico del DOC, che diventeranno parte del bagaglio personale in caso di future ricadute. Nello specifico, il lavoro cognitivo si basa in parte sulla ristrutturazione dei dubbi ossessivi (quando vi è catastrofizzazione e sovrastima della responsabilità) e in parte sulla loro accettazione, perché i pensieri ossessivi sono dubbi che ognuno di noi può avere (chiunque di fronte ad un bambino che piange incessantemente può aver pensato “non ce la faccio più lo strozzerei!”), ciò che fa la differenza è come li valutiamo. Mentre il lavoro comportamentale consiste nell’esporsi gradualmente alle proprie maggiori paure, tollerando l’ansia o il disagio (grazie a tecniche specifiche) che ne scaturiscono. Il punto di arrivo riguarda l’accettazione di tali pensieri o immagini, senza che vengano valutati catastroficamente, ma come esperienze cognitive che tutti noi abbiamo avuto, ma che per il solo fatto di averle avute non significa che siamo o saremo delle cattive mamme.
Come si devono comportare i familiari?
Rimanere emotivamente vicino alla neomamma è fondamentale affinché non si senta sola, schiacciata dalle responsabilità e dallo stress. Ma questo supporto non deve coincidere con una collusione al disturbo: dare troppe rassicurazioni, sostituirsi o aiutare nello svolgere le compulsioni (lavare i vestiti, gli oggetti, pregare insieme), sono tutti comportamenti controproducenti che favoriscono il mantenimento del circolo vizioso del disturbo. Inoltre la critica e svalutazione per ciò che sta vivendo (“sembri matta a lavare tutto così!” o “stai facendo soffrire il bambino!”) sono inutili atteggiamenti che non fanno altro che aumentare l’autovalutazione negativa secondaria della mamma e favorire stati depressivi. Invece, spronare la persona ad affidarsi ad uno specialista cognitivo comportamentale, sostenerla in questo percorso e seguire le indicazioni date è la cosa migliore da fare per supportare queste persone in un momento già difficile di per sé come la nascita di un figlio e aggravato dall’insorgere del disturbo ossessivo compulsivo.