Molti bambini sono etichettati come timidi. La timidezza in sé e per sé può essere un ostacolo o un punto di forza del bambino, molto dipende da come viene gestita. La timidezza è infatti un tratto della personalità, non un difetto. Le persone che la provano sono spesso buoni ascoltatori, persone riservate che sanno far apprezzare la propria presenza anche senza dire una parola. D’altro canto, in alcuni bambini, la timidezza può essere la manifestazione di problemi interiori oppure la mancanza di pace e di serenità. Questi bambini sfuggono persino agli sguardi e hanno problemi caratteriali o comportamentali. Entrando in contatto con loro ci si rende conto che agiscono spinti dalla rabbia e dalla paura anziché dalla fiducia e dalla pace.
Alcuni bambini si nascondono dietro un velo di timidezza per non rivelare se stessi poiché non si piacciono. È più sicuro non mostrare nulla di sé, in tal modo si proteggono in una sorta di guscio. La timidezza diventa una scusa per non intessere relazioni con altri. In questo caso occorre costruire o ricostruire la stima che il bambino ha di sé. Questi bimbi hanno bisogno di genitori di cui fidarsi, che sappiano insegnargli a gestire la rabbia e la delusione in modo diverso dall’interiorizzazione. Cosa dire allora dei bambini che a due anni sorridono a ogni estraneo e a tre si chiudono come chiocciole? Le mamme spesso sono preoccupate di questo cambiamento. Prima dei due anni i bambini sono spontanei, agiscono prima di pensare, specialmente nelle relazioni sociali. Tra i due i quattro anni attraversano una seconda fase di strana ansia, come se cominciassero ad avere paura di chi non conoscono. Prima di contattare uno specialista, occorre essere pazienti. Dare ai bambini l’incoraggiamento e lo spazio di cui hanno bisogno. Generalmente questa fase poi si attenua. I genitori comunque spesso si chiedono cosa possono fare. Ecco qui alcuni consigli: