Si parla di parto indotto quando il travaglio viene stimolato con metodi artificiali.
L’induzione del parto può essere consigliabile quando, ad esempio, si verifica una rottura anticipata delle acque, viene riscontrata un’anomalia della placenta oppure in caso di gravidanza oltre termine.
Le tecniche sono diverse, e, prima di procedere, è opportuna una valutazione rischi/benefici.
In assenza di complicazioni, il primo stadio dell’induzione è la stimolazione manuale delle membrane effettuata solitamente dalle ostetriche. Viene inserito un dito a livello del collo dell’utero e vengono massaggiate le membrane che contengono il liquido amniotico. In questo modo viene stimolata la produzione naturale di prostaglandine.
Se con la stimolazione manuale non si ottengono risultati, dopo almeno trenta minuti l’ostetrica procede con l’applicazione del gel.
L’induzione al parto con gel a base di prostaglandine consiste nell’introduzione di candelette vaginali all’interno dell’utero in modo da produrre un’attività contrattile regolare. Nel caso la cervice sia matura, l’applicazione avviene per via vaginale, mentre, nel caso la cervice sia immatura, si utilizza prostaglandine per via intracervicale, utilizzando una siringa o un diaframma.
L’utilizzo del gel consente l’ammorbidimento della cervice ancora chiusa agevolandone la dilatazione.
Questa somministrazione può essere ripetuta fino a un massimo di 4 volte a distanza di almeno sei ore l’una dall’altra. Nel 90% dei casi il travaglio inizia dopo la seconda o la terza dose di gel. Nel caso in cui il travaglio non sia iniziato, ma anche per accelerarlo, si procede con la rottura artificiale delle acque.