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È intorno ai tre anni di vita che i bambini iniziano a comunicare in maniera più costante e chiara con i loro genitori, migliorando quel poco di linguaggio che fino a quel momento hanno acquisito. Infatti, con la crescita si sviluppa sempre meglio il loro modo di esprimere le loro esigenze, che siano paure, dubbi o semplici curiosità.
I bambini e la fase del perché
Ha così inizio quella fase che viene chiamata l’età dei perché, un frangente difficile per tutte le mamme e per tutti i papà. La fase del perché dipende dallo sviluppo del linguaggio, di conseguenza varia da bambino a bambino. Ciò significa che in una prima fase ci si rivolge soprattutto al rapporto con gli adulti: il bambino non deve solo avere delle piccole basi linguistiche, bensì deve aver già interagito in maniera continua con i più grandi. Questo fa emergere che, ad esempio, un bimbo più timido e introverso avrà più difficoltà a relazionarsi con le persone che lo circondano. Il momento dei perché è, inoltre, il periodo in cui i piccoli vogliono mettere alla prova i genitori per testare quante attenzioni possono ricevere.
In realtà il periodo dei perché può essere diviso in due fasi: la prima va dai tre anni ai cinque/sei, nella quale l’adulto è l’unico punto di riferimento per il piccolo; la seconda fase ha inizio, invece, dai sei anni, grazie alla conoscenza della scrittura e della lettura e, quindi, con l’inizio della scuola elementare. In questo stadio la causa dei perché è legata alla figura di un compagno di classe, di un fratello o di un cugino.
I bambini e la fase del perché: come affrontare le tante domande
Il bambino trascorre parte della giornata a porsi domande irrazionali, mentre guarda i cartoni animati o intromettendosi nella vita dei genitori per chiedere motivazioni in base a ciò che non gli è chiaro.
Ma come ci si comporta in questo caso? A quali domande vale la pena di rispondere o quando è giusto dare un limite? Per sciogliere i dubbi prendiamo in esame i consigli che ci vengono dati da una psicologa, Michela Garbosa.
Come prima cosa, per capire se dire la verità o mentire, bisogna principalmente attenersi all’età. Prima dei cinque anni, infatti, è consigliabile rispondere in maniera divertente, in quanto i bimbi a quell’età non ragionano con razionalità, piuttosto pongono domande grazie alla fantasia. Basti pensare ad un temporale, in genere si usa rispondere che sono gli angeli che giocano a bocce.
Al contrario, nel periodo che inizia dopo i cinque anni, i bambini cominciano a porre quesiti più fastidiosi. In questo caso, è opportuno controbattere in maniera semplice. Tuttavia, qualora fosse palese il non convincimento del bambino, è meglio spiegare la verità nella maniera più garbata possibile, come nel caso della morte di una persona cara.
Ammettiamolo, però, alla domanda 1.234, dopo una dura giornata di lavoro, la pazienza di un genitore potrebbe vacillare. Cosa fare in quei momenti?
Secondo la studiosa, in quei casi è lecito provare a porre fine alla serie:
- distraendo il bambino
- spiegando che non è il momento delle domande perché è ora di cena o di andare a dormire, promettendo però che la risposta verrà data l’indomani
- proponendo qualcosa di innovativo
- coinvolgendo il bambino stesso, ponendo a lui il quesito
Appare evidente che questi suggerimenti sono più adatti per i bimbi più piccoli, quelli prima dei cinque anni; mentre, per i più grandicelli non sono efficaci. Per coloro che dai sei anni in poi incontrano la tecnologia, la lettura e la scrittura, la curiosità va soddisfatta in maniera diversa. La psicologa per l’appunto suggerisce di coinvolgerli in ricerche, che possano dare loro risposte più soddisfacenti.
C’è anche da dire che a volte la fase dei perché non riguarda solo i genitori, ma può abbracciare nonni ed estranei. Dunque, è qui giusto dare un limite, ricordando che è una fase che passerà ed è necessario ripeterselo tipo formula magica.
Se la fase dei perché non si verifica
Cosa succede se il piccolo si mostra non curioso del mondo che lo circonda? Non bisogna farsi prendere dall’ansia. Anzi, è naturale che in alcuni casi questo periodo duri pochissimo o non si verifichi proprio. Come già detto precedentemente, questo non viene affrontato in maniera uguale da tutti i pargoli. Quest’ultimi non vanno mai a passo con le sicurezze, è un po’ come il gattonamento: c’è chi lo fa o chi inizia direttamente a camminare, il che significa che il non gattonare non compromette in nessuno modo la capacità di camminare. Nello stesso modo, la fase dei perché non mette a repentaglio l’ampliamento linguistico.